“Noi moriamo soltanto quando non riusciamo a mettere radici in altri” scriveva Lev Tolstoj. E saranno proprio le radici e le prospettive, l’eredità, il pensarsi futuro attraverso le generazioni,i temi che affronterà la VII edizione del Festival Taobuk dal titolo “Padri e figli”.

Un titolo evocativo proprio del processo di trasmissione di valori e identità generazione dopo generazione.

A ridosso del summit G7, che si aprirà a Taormina il 26 Maggio, il Festival sceglie questo tema per continuare, come già in passato, a guardare alle stringenti problematiche contemporanee, scegliendo un tema di importanza nevralgica sotto ogni punto di vista, anche quello socio-politico economico, per gli assetti del presente.

“Sono tornato. La vita comincia dove finisce” sono le ultime battute di Edipo Re di Pasolini che riapre una delle questioni nodali dell’esistenza umana: il rapporto con il padre, il legame con la tradizione, il desiderio che trascende le generazioni.

“Chi sono? Da dove vengo?”: pensarsi è innanzitutto pensarsi al passato, porsi domande sulla propria origine significa fare un bilancio di ciò che è stato prima e di ciò che ci è stato lasciato in eredità.

Il padre è l’anello di una catena di trasmissioni, di nodi da sciogliere, ineludibile eredità nel bene e nel male.

C’è però un possibile esito diverso: dai padri, dalla storia di cui si è figli, si può anche fuggire, esattamente come il piccolo Antoine di “Quattrocento colpi” di Francois Truffaut, o come Ledda, protagonista del film dei fratelli Taviani “Padre padrone, tratto dal romanza autobiografico di Gavino Ledda.

Ma un padre è anche “un figlio che ha un figlio”, per citare Pasolini in “Affabulazione”, e il “gioco della paternità” è un gioco combinatorio delle identità multiple di cui siamo figli. Identità multiple che ci rendono, generazione dopo generazione, genitori e figli, discepoli e maestri, passato e presente, fino all’eccezionale Trinità in cui Padre e Figlio coincidono tra loro e con lo Spirito Santo, nella fusione di divinità e umanità, insegnamento e pratica.

Domandarsi da dove veniamo, significa sapere cosa abbiamo ricevuto in eredità dal passato e cosa vogliamo essere pronti a rendere alle generazioni future, in un delicatissimo passaggio del testimone che si chiama civiltà.

Più questo sarà un processo consapevole, più saremo capaci di veicolare al meglio le molteplici identità di cui siamo figli e che insieme costituiscono la migliore risorsa per affrontare la sfida del tempo.