Il cordoglio e il ricordo per lo scrittore cileno, premiato nel 2014 per la prima edizione dei Taobuk Award e nel 2016 per la prima edizione del Premio Sicilia promosso dall’Assessorato Regionale del Turismo, Sport e Spettacolo
Oggi salutiamo con profondo cordoglio uno dei più grandi scrittori del nostro secolo, un guerriero sincero e appassionato, un uomo che ha vissuto la propria vita all’insegna degli ideali più alti, con l’audacia di chi, spendendosi completamente per amore, ha lasciato un segno indelebile e inconfondibile nel nostro tempo. Luis Sepúlveda, autore di capolavori come Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, Il mondo alla fine del mondo, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Patagonia Express, ci ha lasciati a 70 anni a Oviedo, nelle Asturie.
“Con la Sicilia non si può che avere un rapporto d’amore” – aveva detto nel 2014, ospite di Taobuk per la prima edizione del Taobuk Award. Il grande scrittore cileno esprimeva con parole semplici e intense, il forte sentimento per la nostra isola e il coté letterario che egli conosceva e amava profondamente, da Tomasi di Lampedusa a Camilleri.
Lo ricorda così Antonella Ferrara, presidente del festival che ha il primato di avere premiato il grande scrittore cileno ben due volte. «Era il 20 settembre di sei anni fa – rievoca Antonella Ferrara – quando l’autore di Storia una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare venne salutato dalla standing ovation di migliaia di spettatori assiepati nella suggestiva cornice del Teatro Antico di Taormina: era il primo scrittore in assoluto a ricevere il Taobuk Award for Literary Excellence, istituito quell’anno in occasione della quarta edizione del festival, inaugurando una serie di serate di gala destinate ad ospitare i nomi più illustri della letteratura internazionale. Di quella prima magica volta non potrò mai dimenticare la speciale alchimia che si venne a creare con gli altri due Taobuk Award, ossia Nicola Piovani per la musica e il presidente del Senato Pietro Grasso, premiato per l’impegno civile, un percorso che Sepulveda aveva sperimentato con coraggio sulla propria pelle.»
La liaison amorosa tra lo scrittore e il festival era destinata a durare e a ripetersi nel 2016, quando il 17 novembre al Teatro Sangiorgi di Catania, a Sepúlveda venne assegnata la prima edizione del Premio Sicilia, ideato da Taobuk e promosso dall’Assessorato Regionale del Turismo, Sport e Spettacolo. Anche questa volta ad attenderlo c’erano centinaia di fan, davanti ai quali avrebbe presentato in anteprima nazionale italiana il suo romanzo La fine della storia, un racconto largamente autobiografico e dunque avventuroso come la sua vita, un intreccio tra realtà e fantasia mirato alla denuncia della dittatura e della tortura.
“Il rapporto tra Taobuk e Sepúlveda – prosegue Antonella Ferrara – , come per certi aspetti quello instaurato con un altro grande scrittore come Amos Oz, è stato particolarmente intenso e affettuoso sul piano umano, una naturale conseguenza della sua personalità solare che, nonostante le ingiustizie subite, contraddistingueva questo intellettuale di prim’ordine e attivista dal forte impegno civile e politico, che aveva saputo imporsi con la metafora delle favole morali tra i maggiori e più amati scrittori del nostro tempo».
Combattente e resiliente ad oltranza, e ancora innamorato della vita che pure non gli aveva fatto sconti, Sepúlveda incarnerà per sempre l’anima del Sud del Mondo, di cui conosce grandezze e miserie. Di lui Antonella Ferrara sottolinea infine l’insegnamento letterario e di vita, emerso anche negli eventi del festival che lo hanno visto protagonista: «Era un grande uomo, coerente e lucido. Lo dimostra l’avere scelto la favola morale quale veicolo d’elezione per trasmettere valori fondamentali per l’umanità come l’amicizia, l’uguaglianza, la giustizia, la solidarietà sociale, la libertà, il rispetto della natura. E stupisce, citando le sue stesse parole, quel suo considerare l’impegno civile non come una cosa straordinaria ma normale, saper conformare le nostre azioni a ciò che sappiamo essere giusto fare, per potersi guardare allo specchio la mattina e sentirsi un uomo decente».
Su tutto emerge la sua positività mai superficiale ma mediata dal dolore.
Fu lo stesso Sepúlveda a spiegarlo allora ai microfoni di Taobuk: «Sono consapevole che la mia vita, tra carcere esilio, torture, non è stata facile, ma il bilancio è comunque buonissimo e ho avuto una ricompensa incommensurabile, una moglie adorata, i figli e sei nipoti, a garantire la fondazione di una famiglia fantastica, bellissima, forte, molto forte».
No, non c’era spazio per il nichilismo, in Sepúlveda, che da giovane aveva letto Lampedusa, ne aveva appresa la grande lezione, ma quella desolante definizione di melanconia intesa come “la felicità di essere triste”, l’aveva presto convinto che, lui, un malinconico non sarebbe mai stato. Voleva essere felice e basta. E lo è stato nonostante tutto e tutti. Qual era allora la sua idea di felicità? La risposta di Sepúlveda fu allora, e tale sarebbe anche oggi, semplice e assoluta: «Fare la cosa giusta al momento giusto».